Miles Davis – Il mare del silenzio

In a silent way/it's about that time - Miles Davis – In a Silent Way – 30 luglio 1969

 

“Più che prevedere il futuro, si potrebbe dire, ne avevo nostalgia.” (John Banville, Il Mare, ed. Guanda, 2006).

Il passato in questo brano è solo un'idea: è ben noto a tutti il glorioso passato di Miles, sia quello di 20 anni prima (Birth of the cool, 1949) sia quello di 10 anni prima (Kind of blue, 1959) sia quello del disco precedente (Filles de Kilimangiaro, 1969), ma qui Davis ci porta da un'altra parte. Nella prima sezione del brano ci si immerge nella rievocazione di un passato intangibile: la malinconia di un vissuto che, però, non ci appartiene, molto lontano da quello che sappiamo di noi e di Miles.

 

La seconda sezione del brano galleggia sul presente: entra un ritmo serrato, ripetitivo, ossessivo e fluttuante sopra il quale un mare di pianoforti elettrici fa da tappeto alle espressioni solistiche di tromba, chitarra e sax. Questo è il magma complesso ed articolato del vivere il proprio tempo e del dover continuamente lottare per rimanere vivi. Una posizione che accomuna ogni atto creativo in maniera trasversale alle discipline e alle epoche storiche.

Col futuro torniamo a capo (proprio come Banville): la terza sezione è la ripetizione della melodia della prima che qui assume, dopo l'ossessiva parte centrale, una dimensione liberatoria, quasi catartica.

 

Il disco, visto da noi ora (che saremmo poi il futuro?) è il punto esatto in cui Miles apre completamente le porte a quello che sarebbe arrivato dopo: il Davis elettrico, lo sciamano, il pugile sul ring, Bitches Brew. Allontanato alla dualità critica e anacronistica che vedeva jazz e rock come terreni nemmeno confinanti e ascoltato anche fuori dalla linea cronologica della discografia davisiana, In a silent way risulta, a 50 anni dalla sua uscita, un lavoro profondo, autonomo, attuale e, per tanti versi, ancora inesplorato. 

G.