ARITMIE episodio 9

Tom Waits

È notte fonda e la città è deserta e silenziosa. Solo il ronzio di una lampada al neon accompagna le suole che grattano e scrostano i marciapiedi tra la puzza di pesce e una pioggerellina fittissima. Poco oltre l’incrocio che taglia di netto quello che una volta era il parcheggio dei tram, un grosso cancello in ferro battuto separa un viottolo ghiaioso dal corso principale, lasciando intravedere, dietro una cortina di edera, un edificio basso e squadrato da cui pende un’insegna debolmente illuminata. Waits: rigattiere. L’aria all'interno è un tutt'uno con la polvere, che impregna tende e tappeti e che ricopre di uno spesso manto il sofà e la pila di cappelli accanto alla bicicletta col manubrio rotto e alcune carte da gioco appuntate ai raggi.

«È la neve del tempo» mormora chino il bottegaio, mentre con una mano si gratta un fianco e con l’altra trascina uno scatolone, da cui sbucano un groviglio di lana di ferro e un fornello da campo.

 

Sei la testa sulla lancia

Sei il chiodo sulla croce

 

All'angolo opposto, un tavolino tondo a cui un’enciclopedia nautica raccomoda la zoppia comincia a gracchiare, mosso dalle oscillazioni del giradischi Thorens incastrato tra un vaso satsuma e una cassa di bourbon. Uno, dos, tres, cuatro.

 

Sei la mosca nella mia birra

Sei la chiave che si è persa

 

La batteria stacca un tempo in quattro e la campana di un sassofono risponde dall'oltretomba.

 

Sono la barca che non affonderà

Non chiuderò occhio

Sei cattivo quanto me

 

«Sono gli spettri della notte, amico! Dimorano nelle ombre e danzano. Danzano! Sui muri, come rami al vento.»

 

Sono il sangue sul pavimento

Il tuono e il ruggito

Sei cattivo quanto me

Sei cattivo quanto me

 

«Senti? Questa musica chiama dall'oscurità, è ruggine e fiele, gusci rotti e ossa fracassate. Fango, fumo, gesso, rami secchi, mascara, foglie di menta, rubinetti rotti, porcellane sbrecciate, tarli, unghie, febbre gialla, miele, cornici vuote, caffè, esche tagliate, reggiseni, pistole, denti affilati, lettere sui muri del bagno, auto tra le erbacce. Uno, dos, tres, cuatro. So che avrai cura di me, amico. Sei cattivo quanto me.»

 

Scivoli sotto la pioggia

Cercando di cambiare

E sei cattivo quanto me

 

Il rullante continua a marciare in quattro, mentre sul piatto nero il diamante galoppa senza sosta e senza meta. Uno, dos, tres, cuatro. Nessun silenzio trova posto nel tritacarne delle ombre della notte, nessun desiderio si realizza tra le ombre della notte. Viaggiare, sudare, morire, risvegliarsi e imprecare. È l’eterno volteggiare delle stagioni, rapite dalla cortina di edera che ora si allarga e inghiotte assi, terra e cemento. Uno, dos, tres, cuatro. Al viandante non è concesso abbandonare la strada, solo sostare dinanzi all'oscurità. Uno, dos, tres, cuatro. L’oscurità vuota e immensa. Così come sa di essere, così come è sempre stata. Uno, dos, tres, cuatro.

 

C.