ARITMIE episodio 35

Caparezza

«Dicono che gli arabi scrivono al contrario

Mohamed ha detto che io scrivo al contrario»

 

Abolita la terra di mezzo: nessuno che abbia immerso la testa almeno una volta nel brodo caparezziano può dirsi privo di un’opinione sulla sua musica.

Pacchetto completo, piatto unico, nessun optional.

O si è con lui o si è contro, e in entrambi i casi per innumerevoli ragioni.

 

Incazzato, dissacrante, strafottente; pochi scrupoli sotto infinite riflessioni che ammettono ogni divertimento ma omettono ogni banalità. Infaticabile scardinatore della lingua, della stupidità e dei luoghi comuni, ferocemente antirazzista e (serve dirlo?) apertamente di sinistra. Tra i pochissimi che abbiano la coerenza tra le principali qualità e che sappiano aprirsi sull’attualità come le ventose di un polpo, riuscendo a impastarla e a metterla in moto come le tessere di quei lunghissimi domino che si rovesciano a cascata su scale, tappeti, librerie e grondaie.

 

Qualunque dei suoi album si decida di andare a pescare, si può stare certi del fatto che appesa all’amo si troverà sempre l’intenzione di servirsi dell’arte come un vero e proprio veicolo a motore, per cercare la verità e mettere al muro la politica, la storia, la realtà, il senso della vita e quello dell’arte stessa. Operazione che nel 2014 gli è riuscita in maniera sublime con un album che mette tutto e tutti sullo stesso piano, in modo tale da sbatterci in faccia la mancanza di senso di un mondo che serenamente bolla come pazzo Van Gogh e poi si decompone tra centri commerciali, frasi fatte, gas serra, manuali di istruzioni, navigatori satellitari e barrette dietetiche.

Museica è la fine delle scuse: la follia collettiva resta nuda e immobile, prigioniera tra le maglie di una catena di sillabe fittissime, che arrivano come una scarica di schiaffi su una quotidianità putrida di cui non solo siamo colpevoli, ma soprattutto complici.

 

Se il presente non funziona e vivere significa oscillare tra la malattia e l’insoddisfazione, allora è il momento di una scossa, una frattura, un nuovo Cabaret Voltaire, un nuovo manifesto Dada che infiammi la voglia di “gridare, bestemmiare, imprimere alla propria prosa l'accento dell'ovvietà assoluta, irrifiutabile, dimostrare il proprio non-plus-ultra”.

 

E il nostro non-plus-ultra? A che altezza si trova? Probabilmente molto più indietro di quanto ci piacerebbe ammettere. Allora avanti tutta, comunque vada, comunque Dada: contro le ovvietà, contro le comodità, contro il tempo e contro noi stessi. Contro quello che non fa per noi e contro il prato del vicino, che continuerà a sembrarci sempre più verde finché non andremo con secchio e pennello a tingere di fucsia il nostro.

Comunque vada, comunque Dada!

 

C.