ARITMIE episodio 31

Zoe Pia

Chi dice Shardana dice Sardegna, la culla millenaria del popolo del mare; incauto, nomade, feroce e incorruttibile.

Chi dice Shardana dice anche vele al vento e spalle all’uscio di casa, chiuso da quello spirito che non dà pace al viaggiatore e che lo porta sempre a volgere lo sguardo verso lidi lontani.

 

C’è una vecchia filastrocca che racconta di come solo il mare sia capace di allontanare i pensieri infelici, rendendo i cuori dei marinari più grandi di qualunque tempesta e spingendoli a partire di generazione in generazione senza voltarsi indietro. Un messaggio antico che resta sempre attuale, intriso di quella stessa forza che continua a spingere clan, esploratori e, perché no, anche musicisti a cambiare cielo.

 

Chi dice Shardana dice anche Zoe Pia, clarinettista classe ’86 che nel 2016 ha innestato i ritmi del suo vissuto su quelli della sua Sardegna, dando vita piena a una cornucopia fatta di strade, di mattoni e di sale, che in sé ha molto più di un’appassionata deferenza nei confronti dell’isola e della sua storia: far vibrare lo strumento è stringere la terra tra i pugni e venerarla insieme al vento, alle onde e a quei piedi che la calpestano dalla notte dei tempi.

 

Il lavoro di Zoe Pia vale perciò come attenta esplorazione e recupero dei suoni del tempo e altrettanto come paziente costruzione di scorci individuali. A un suo personalissimo impiego delle launeddas, si affiancano cornici sonore strappate alla realtà: i campanacci dei mamuthones, i canti processionali, le ninne nanne e le campane della chiesa di Mogoro fanno da sfondo a musica ricca di suggestioni e ben articolata su intrecci e ritmi che mutano, rimbalzano e si allontanano, sfilando come le sagome di un corteo carnevalesco.

 

Ne esce un’anima aspra, dove modalità improvvisative facilmente riconducibili alla musica di oggi rimangono fedeli alle leggende e ai luoghi che hanno fatto da recipiente per la storia e le figure shardaniche. Come quella della sacerdotessa dell’eternità, a cui è dedicato il pezzo S’accabadora, ossia “colei che finisce”; colei che si aggira tra i vicoli ed entra indisturbata, accarezzata dalle ombre e dal silenzio della notte. Una vera e propria custode del tempo, lenta e compassionevole, quasi premurosa. È questo il ritratto che esce dall’ascolto, quello di una vestale che accudisce e che allontana le sofferenze, togliendo al navigante il fardello che appesantisce il suo cuore. Così potrà rimettersi in viaggio, ancora una volta, con lo sguardo rivolto verso lidi lontani.

 

C.