Lee Morgan – Note di copertina

In uno standard di comportamento tutto jazzistico in cui ogni regola può essere contemporaneamente vera e falsa e nel quale ogni nota, ogni azione e costruzione è frutto di schemi regolamentati, tanto quanto di personali interpretazioni e scelte di non adesione ad essi, se la regola generale è “non giudicare un disco dalla copertina” con Charisma invece possiamo stare certi che la copertina sia il primo ottimo metro di giudizio.

Tutta la produzione dell'etichetta newyorkese Blue Note Records si è distinta per le sue grafiche di copertina uniche e riconoscibili alla prima occhiata. Le foto dell'impareggiabile Francis Wolff rielaborate nelle grafiche di Reid Miles preparano l'ascoltatore a quel suono inconfondibile dei dischi che sono divenuti sinonimo stesso di jazz. Se nel 1969 questo non ci fosse bastato, sarebbe stato sufficiente mettere il vinile sul piatto e ascoltare il brano di apertura, Hey Chico, per avere la certezza di aver comprato il disco giusto.

Lee Morgan in questa sessione di registrazione del 1966 (pubblicata nel 1969) si conferma un musicista maturo, personale e in costante crescita ed evoluzione. Vista da lontano la terribile tragedia che ce lo portò via qualche anno più tardi lascia un vuoto sempre più colmo di domande su quel che avrebbe potuto regalarci. Il suo suono pieno, brillante e vigoroso e il suo fraseggio proseguono la linea tracciata da Dizzy Glillespie e da Clifford Brown, mentre la magistrale gestione degli spazi e la costruzione formale degli assoli sembrano provenire dalla grande scuola di Miles Davis e Chet Baker. Morgan in questo album si conferma anche compositore di spessore sviluppando e raffinando le scintille a cui ci aveva abituato sin dai tempi di City Lights o The Sidewinder. Egli mette in gioco un istinto melodico legato al blues, una conoscenza indiscutibile della tradizione jazzistica ed uno sguardo attento alla sua contemporaneità che lo proietta già nel futuro.

Questa musica è forgiata nell'istante del suonare, un “qui ed ora” costantemente alimentato dal convivere di personalità infuocate e generose umiltà. Le sessioni Blue Note di quegli anni sono una fotografia della scena di New York e di quello che stava bollendo in pentola negli anni ruggenti del jazz. Al servizio del risultato i suonatori mettono in gioco quella meticolosa ossessione che ogni artista non può non mettere nello sviluppo del proprio linguaggio e nella conoscenza approfondita del suo strumento. Poter contare su Billy Higgins alla batteria, Paul Chambers al basso e Cedar Walton al piano garantisce un ribollire ritmico che spinge i solisti a toccare picchi ancora più alti. Insieme a Morgan i sassofonisti Jackie McLean e Hank Mobley danno vita ad improvvisazioni infuocate e giocano a spingersi sempre un passo oltre che è esattamente il motivo per cui ancora oggi è difficile staccare l'orecchio da queste registrazioni.

 

G.