ARITMIE episodio 25

Goran Bregović

Il 2017 è stato per Bregović l’anno di Three letters from Sarajevo, l’album che ha messo fine al silenzio che durava dal 2012 con le piacevoli stramberie di Champagne for Gypsies.

Sebbene sia tutt’altro che una novità trovare nella sua musica rimandi costanti a temi come integrazione etnica e comfort culturali, con Three letters from Sarajevo ci troviamo di fronte al lavoro che più di ogni altro si è servito di una precisa indicazione geografica per dar prova dell’inesistenza di geografie; tanto territoriali quanto spirituali, temporali e linguistiche. L’assedio di Sarajevo e la guerra civile in Jugoslavia diventano il perimetro entro cui il viaggiatore di frontiera può sostare, portando lo sguardo in mezzo all’odio per il quale frange e partiti perdono ancora tanto tempo, e ogni volta con un solo risultato: il sangue sulle macerie è il medesimo. E se una convivenza pacifica non è possibile nella realtà, dimenticare la guerra lo è ancora meno.

Provvede allora la musica a infrangere il tabù per cui nessuna parola è degna di essere sparsa sulle lapidi, e lo fa unendo immenso amore per la vita alla certezza della morte. I poli su cui poggia l’universo si incontrano e nella coesistenza trovano quel senso che la sola guerra non avrà mai.

 

Succede così che agli arrangiamenti voluminosi e maestosi a cui Bregović ci aveva da tempo abituati con la sua Wedding and Funeral Band, si affianchino le linee spesse dell’orchestra sinfonica, conferendo ancora più forza al dualismo tra sofferenza ed energia vitale. La giostra comincia a girare e il viaggiatore di frontiera non può fare a meno di stringere la presa e iniziare a oscillare insieme al resto; la paura, la fragilità dei sentimenti, la volatilità dei pensieri, le incertezze e il dolore incrociano la musica, l’incedere voluttuoso della danza e il fuoco che attraversa la gola e i denti. Il banchetto tragico dell’esistenza dà sfogo a tutto il suo nero splendore, trascinando i corpi e lanciandoli come lucciole nella notte. Danzare la gioia di vivere con ogni molecola è l’unico modo per onorare e scongiurare la morte, l’unica via per trarre forza dalle cose più spaventose e potersi buttare come cavalli in corsa verso quello che verrà.

 

Ballare, ballare e ballare ancora. Ballare senza sosta, senza peso, senza staccare le mani dal cielo.

Baila Leila ci chiede di fare questo, di divorare ogni dispiacere e danzare oltre la guerra, prima che il passato diventi troppo forte e le stelle comincino a cadere. Ballare, anche se fosse per una sola volta, lasciando che i suoni dei Balcani incontrino piedi da tarantella e che lunghe corde gitane possano mettere radici in ognuno, finché la giostra non si sarà fermata.

 

Leila, Leila, balliamo via i nostri ricordi

Leila, Leila, possa la musica dei tuoi piedi

Essere l’unica cosa a rimanere

 

C.