Miles Davis

L'inquietudine delle produzioni davisiane tra il finire degli anni '60 e lungo tutti i '70 è la cifra di un atteggiamento artistico che, in maniere sempre diverse, a Miles Davis non è mai mancato: la ricerca di un “oltre” magmatico ed ignoto. Questa sensazione di dover costruire il suono del futuro, porta Miles a tentare strade sempre nuove e sempre diverse, tanto che da questa produzione in poi molti critici fecero fatica a considerarlo ancora jazz. Filles De Kilimangiaro è un disco in cui Miles spinge, con una attitudine che è quasi una firma, il suo storico quintetto modale verso nuovi limiti da superare. 

 

In questo album è in atto il processo di elettrificazione che vedrà Davis produrre capolavori quali Bitches Brew (1970) o Live Evil (1971). Da qui si inizia ad ammiccare alla musica rock e a quella scena che da qualche anno era stata ribaltata dall'avvento di Jimi Hendrix. Nessuno rimase indifferente al terremoto di Hendrix con il suo chitarrismo grosso e violento, nemmeno Miles. Il brano di oggi, Mademoiselle Mabry (Miss Mabry), infatti non è altro che una rivisitazione di Gil Evans della canzone di Hendrix The Wind Cries Mary.

 

Il fatto che un musicista come Davis si sia mosso a reinterpretare un pezzo di Hendrix ci dice quanto Jimi sia stato importante nello spostare il corso delle cose. Quello che di Hendrix passa spesso in secondo piano, e che invece Miles e Gil Evans non avevano certo sottovalutato, è il genio compositivo. Il lascito di Jimi da questo punto di vista è enorme e, non appena ci si è risvegliati dal turbine della sua chitarra, la sua musica ha regalato grandi soddisfazioni a chi si è cimentato nel reinterpretarla. Gil Evans stava organizzando una collaborazione tra Jimi e Miles che purtroppo non ebbe luogo, ma che portò poi Evans a registrare qualche anno dopo un album memorabile di sole composizioni di Hendrix (The Gil Evans Orchestra Palys the Music of Jimi Hendrix – 1974). 

 

Il brano di Hendix viene qui affidato a un gruppo di musicisti onnivori e pronti a tutto che ne ribaltano andamento, senso, attitudine e feeling. Spogliato di chitarra e linea vocale non sembra quasi più un brano rock e prende la forma e il colore di quegli orizzonti sospesi a cui Miles ci aveva già ben abituato. La sezione ritmica naviga in un suono scuro e liquido attorno al giro armonico (il quale riff rimane forse l'unica cosa riconoscibile del brano originale) lasciando spazio ai solisti che lavorano di cesello. Sia tromba che sax dimostrano, o meglio confermano, una sapiente gestione degli spazi e una costruzione formale delle improvvisazioni che forse è la cosa più interessante del disco. Non è più davvero tracciabile la linea di separazione tra jazz e rock, ma ci interessa davvero?

 

G.