ARITMIE episodio 17

Mauro Ottolini

Fino a qualche mese fa, parlare di Bix Factor del trombonista Mauro Ottolini sarebbe stato, per tanti versi, mettere sul piatto uno degli ottimi lavori che l’ultimo decennio musicale ha prodotto. Farlo oggi ci costringe invece a integrare la ricezione dei contenuti e l’immaginazione personale che ne consegue con una dose di consapevolezza da cui non sarà più possibile fare retromarcia: il perno su cui ruota Bix Factor è una pandemia, con annessa strenua ricerca di una soluzione che arresti le lancette del contatore delle vittime.

 

Siamo nel 2012 e il mondo intero è alle prese con il Bacillus Imbecillibus Xenophosfobis, un germe che si diffonde attraverso le trasmissioni televisive e radiofoniche più meschine e scadenti. I primi segni della malattia sono riscontrabili in eccessi di consumismo e continue richieste di prodotti futili e dozzinali, che progressivamente portano a una condizione di profonda infelicità, alimentata dal desiderio stesso di ciò che non fa altro che nutrire il germe. L’infelicità a sua volta genera apatia, consegnando infine il malato alla morte.

 

Se fino a qui i toni della vicenda si sono delineati lungo binari senz’altro aspri – che non si sono tirati indietro dal mostrare una dose massiccia di attualità nonostante il fondamento fantastico dei contenuti – a smorzare la durezza dello scenario provvede in fretta una colorita squadra di personaggi reali (come Igor Stravinskij, Marcel Duchamp, Paul Whiteman, Woody Herman e Bix Beiderbecke) e immaginari, uniti insieme in una corsa contro e nel tempo per salvare le sorti di un’umanità imbambolata davanti al televisore.

 

Alla musica spetta dunque il compito di narrare le avventure che i nostri eroi devono affrontare, dando vita a quello che a tutti gli effetti è un concept album rocambolesco e favolosamente apocalittico, che si dispiega un fotogramma dopo l’altro sotto la bacchetta magica di Ottolini. A dirigere le danze sembra infatti esserci uno stregone, dal profilo un po’ lunatico e un po’ nostalgico, di quella malinconia attiva tipica di chi è abituato a vivere sempre in avanscoperta.

Ascoltare Bix Factor diventa allora farsi toccare dalla bacchetta ed entrare nel guazzabuglio ottoliniano con la certezza di esserne travolti: suoni e strumenti catapultati fino a noi dalla New Orleans della primavera del jazz incontrano strascichi nobilitati della musica da balera; Luis Armstrong si trova a duettare con Tom Waits e Charles Mingus a specchiarsi in un universo disneyano che a sua volta sembra fare l’occhiolino a Werner Herzog; Igor Stravinskij vede il secondo tempo del suo concerto per clarinetto Ebony venire spazzato via dalle scalciate dixieland di Tiger Rag; il grande Bix Beiderbecke gira intorno, si posa e stuzzica a più riprese l’ensemble come uno sciame su un prato fiorito, puntando in alto la tromba al passaggio di classici come Davenport Blues, Buddy Bolden Blues, Lover Come Back To Me e St. James Infirmary Blues.

L’approccio dei musicisti stessi cambia col cambiare delle suggestioni e dell’atteggiamento degli altri membri del gruppo, mettendo in luce una coesione e una capacità di legare musica, immagini e intenzioni che fanno della reciprocità e del riso un gioco serissimo.

 

Nell’ascolto di oggi, la cara vecchia I'm Coming Virginia viene presa per mano e coccolata da sonorità che calibrano perfettamente i sapori del Mississippi con un senso dinamico della modernità, fino ad arrivare a riversarle addosso una giungla caotica che continua a ruotarle attorno con allegria e un sorrisetto scanzonato, ben saldo sul filo logico pur dando sfogo a tutta la propria eccentricità.

Scherzare su tutto, ma non sul divertimento: non sta in questo l’essenza di una buona fetta di secoli di musica?

 

C.